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ASC NEWS

12/07/2017
Paese Poesia luglio 2017 - Belvedere Ostrense

Il maestro Carlo Iacomucci, recentemente, ha partecipato, in qualità di ospite, alla decima edizione del premio di poesia dedicato a "Biagino Casci" a Belvedere Ostrense, per aver illustrato, con una sua opera, la copertina del librocatalogo dove sono riportate le poesie dei premiati, l'invito cartaceo e il manifesto.
Per l'occasione, l’artista ha donato due sue opere incise, che sono state consegnate, come premio, ai finalisti del concorso. In segno di riconoscenza, sono state dedicate all’'artista Iacomucci sei pagine all'interno del librocatalogo "PaesePoesia 2017", contestualmente ad un breve testo critico della dott.ssa Patrizia Minnozzi (laureata in giurisprudenza, vive a Macerata. Ama l'arte, la fotografia,e la tecnologia).

L'incisore Carlo Iacomucci nasce nel 1949 a Urbino, città in cui, con serietà e costanza, ha potuto avvicinarsi, per gradi e per avvio naturale, alla grande tradizione della scuola urbinate, che porta avanti da circa 40 anni. Nella sua città natale, riceve la prima formazione artistica presso l’Istituto Statale d’'Arte, meglio noto come Scuola del Libro. Tra il 1969 e il 1970 vive a Roma, dove frequenta stamperie d’arte, studi e ambienti artistici, maturando la passione per l’'incisione e, in modo particolare, per l’'acquaforte. Si iscrive quindi al Corso Internazionale della Tecnica dell’'Incisione Calcografica che si tiene sempre ad Urbino.
La necessità di approfondire, lo stimola poi a frequentare, per soli due anni, la sezione di pittura dell’'Accademia di Belle Arti della stessa città. Nel 1973 inizia la sua esperienza didattica, che prosegue fino al 2008: insegna Discipline Pittoriche all’'Accademia di Belle Arte di Lecce, poi al Liceo Artistico Statale di Varese ed infine all’'Istituto Statale d’'Arte di Macerata, dove vive ed opera. Dal 1972 ha partecipato a numerose collettive e personali sia in Italia che all'estero, realizzando anche edizioni d'arte con acqueforti. 

Immagine: Carlo iacomucci - Il giglio di San Giuseppe




22/12/2016
CIBO CARTE e ARTE - Mostra di Artisti Contemporanei dalla collezione di ASC Arte Sacra Contemporanea

Domenica 8 gennaio 2017
Ristorante Il Clandestino
Via Rosmini 5
Stresa VB - Italia

Nella splendida cornice del Verbano, presso il rinomato Ristorante di pesce “Il Clandestino” dello Chef Franco Marasco, avrà luogo l’evento “CIBO CARTE e ARTE” che comprende, una mostra di opere d’arte di Artisti Contemporanei Italiani ed Internazionali della Collezione ASC Arte Sacra Contemporanea, un pranzo esclusivo a base di pesce ed il Torneo di Burraco del Lago Maggiore. In mostra opere di giovani artisti e di artisti affermati: Ilaria Forlini, Nicola Liberatore, William Xerra, Antonio Spanedda, Gabriele Di Maulo, Nina Paley, Alberto Gianfreda, Giovanni Morgese, Silvia Venuti, Federico Cozzucoli, Stefano Pizzi, Bios Vincent, Vieri Parenti, Tarshito, Debora Fella, Florine Offergelt, Enrico Del Rosso e Mauro De Carli, oltre ad un’opera grafica di Picasso. A scopo divulgativo, è disponibile una brochure dell'evento contenente tutte le informazioni sulle opere e sugli artisti e che verrà distribuita al pubblico che interverrà all’evento, per far conoscere il mondo dell’arte contemporanea e tema sacro e non 
www.associazioneculturalecreati
va.
it/processed/20161212-124957-KTIGR-NAS.pdf. L’evento si aprirà con l’inaugurazione della Mostra d’Arte e la visita guidata alle opere in esposizione, a cui seguirà il pranzo, il torneo di Burraco del Lago Maggiore ad invito riservato ai soci di ACC e la premiazione finale. Tra le opere esposte 4 verranno selezionate e assegnate, durante la premiazione, ai vincitori del Torneo. Le opere resteranno in visione al pubblico fino a lunedì 16 gennaio 2017 con orario ore 10,00-12,00 presso il Ristorante Il Clandestino di Stresa. Partner dell’iniziativa: Dal Negro, Luigi Francoli Grappe, Torraccia Del Piantavigna, Bottega della Cornice, Il Clandestino Ristorante di pesce.

Per informazioni:
info@associazioneculturalecreativa.it




25/10/2016
Un'esposizione dei maestri e dei migliori allievi dell'Accademia di Brera all'University of Art and Design di Joshibi, Tokio

Tra il 3 e il 18 di novembre p.v. nell’ambito delle celebrazioni per il 150° Anniversario delle Relazioni tra il Giappone e l’Italia una delegazione dell’Accademia di Belle Arti di Brera composta dal Direttore prof. Franco Marrocco, dal Responsabile per le Relazioni Esterne prof. Stefano Pizzi e da due allievi della Scuola di Pittura, Francesca Vitali e Simone Parise, si recherà a Tokio presso l’University of Art and Design.

La missione, organizzata dai proff. Stefano Pizzi e Tetsuro Shimizu prevede i seguenti principali appuntamenti:

- L’inaugurazione dell’esposizione “Opere dei Maestri di Brera e dei loro migliori allievi”:
- Franco MARROCCO
- Italo BRESSAN – Barbara Canali
- Roberto CASIRAGHI – Flavia Albu
- Giorgio CATTANI – Maria Castagna
- Italo CHIODI – Alice Fiorelli
- Marco CINGOLANI – Pietro Andrico
- Angelo Antonio FALMI – Gabriele Quarta
- Ignazio GADALETA – Saeed Naderi
- Renato GALBUSERA – Francesca Vitali Boldini
- Omar GALLIANI – Carolina Corno
- Gaetano GRILLO – Wang Hao
- Giordano MONTORSI – Lara Ilaria Braconi
- Stefano PIZZI – Simone Parise
- Simona UBERTO – Erika Costa
- Dany VESCOVI – Letizia Prestipino

- La partecipazione ai work-shop di produzione tradizionale giapponese della carta e dei pigmenti.
- La tenuta di conferenze sull’Alta Formazione Artistica in Italia e a Brera a cura del Direttore prof. Marrocco e del prof. Pizzi.
- La tenuta di una conferenza sulla propria ricerca e di un workshop del prof. Pizzi, coadiuvato dagli allievi Parise e Vitali ed alcuni allievi di Pittura di Joshibi, nell’ambito del quale realizzerà un’opera che verrà donata alla quadreria dell’Università.
Nel mese di gennaio del 2017 una delegazione dell’University of Art and Design di Joshibi sarà ospite dell’Accademia di Brera con un analogo programma.
L’Accademia di Belle Arti di Brera e l’University of Art and Design di Joshibi hanno firmato nel corso del 2016 un accordo bilaterale che prevede, oltre agli scambi culturali, la possibilità per gli studenti di entrambi gli atenei di frequentare i corsi dell’istituzione partner.




13/09/2016
La chiesa di Santa Croce in Padova Presentazione della guida

Dopo alcuni anni dalla pubblicazione della guida del Torresino, esce il secondo numero della collana I luoghi dell'arte e della fede, dedicato alla chiesa di Santa Croce in Padova.

La chiesa di Santa Croce in Padova
a cura del Museo Diocesano di Padova
testi di Patrizia Dal Zotto

La guida sarà presentata al pubblico giovedì 15 settembre, ore 21.00, presso la Sala del Redentore in Corso Vittorio Emanuele II, 174, in occasione della Festa della Comunità della parrocchia di Santa Croce.

Interverranno
Andrea Nante
Carlo Cavalli
Patrizia Dal Zotto

L'ingresso è libero.

Il Museo è aperto con in seguenti orari:
da giovedì a sabato 15.00-18.00
domenica 10.30-13.00; 15.00-18.00

 




14/06/2016
IOTIAMO Capsula del Tempo di Antonio Spanedda

Il progetto artistico IOTIAMO dell'artista novarese Antonio Spanedda si arricchisce della CAPSULA DEL TEMPO concepita come un’opera d’arte per viaggiare nel futuro. In questa declinazione tecnologica e creativa del progetto d'arte contemporanea IOTIAMO i giovani sono inventori del proprio futuro, attori protagonisti, futuri spettatori e portatori di emozioni positive per cambiare il mondo.
E’ già stato provato che i viaggi nel futuro sono potenzialmente possibili. Le basi concettuali dei viaggi nel tempo affondano le proprie radici nella teoria, ben verificata, della Relatività Generale di Einstein, di cui a breve ricorre il centenario. Un filo conduttore che unisce lo studio di un possibile viaggio nel tempo nel macrocosmo e microcosmo sono proprio le CTC, ovvero quei percorsi temporali chiusi che connettono il passato e il futuro in modo circolare, consentendo una violazione della cronologia, ma pur preservando il principio di causalità. 
Per Spanedda IOTIAMO Capsula del Tempo è un esperimento artistico, e riguarda un tipo di viaggio nel tempo molto diverso da quello previsto dalla relatività generale e dalla meccanica quantistica. In questo progetto possono partecipare tutti coloro che desiderano viaggiare nel futuro attraverso un'opera d'arte, diventando attori protagonisti oltre che futuri spettatori. A differenza delle capsule del tempo che solitamente sono sotterrate, IOTIAMO 2045 Capsula del Tempo è un'opera visiva, da esporre nella scuola, in un'abitazione, in un museo.
Il primo "viaggio nel tempo" è stato fatto con i bambini della Scuola Primaria dell’Istituto Maria Ausiliatrice di Novara il 20 novembre 2015. I bambini hanno partecipato con entusiasmo al primo Happening della Capsula del Tempo, ed hanno registrato i loro video messaggi per il futuro.
Grazie a questo progetto l'artista ha incontrato molti giovani ed ha scoperto che moltissimi di loro credono ancora nell’amore, nell’amore per la vita, per i genitori, per gli amici. Sono più attenti alle persone, alle diversità, all’ambiente ed essendo capaci di inventare nuovi linguaggi, sono molto creativi. 
Essi sono la prima generazione globale, con valori e modi di pensare convergenti, e per questo motivo hanno bisogno di un riconoscimento sociale.
"IOTIAMO 2045 Capsula del Tempo" con una cerimonia ufficiale il 21 maggio 2016 è stata consegnata all'Istituto Maria Ausiliatrice di Novara che avrà il compito di custodirla fino a quando verrà riaperta il 24 ottobre 2045.
La capsula è stata registrata al Collegio Oglethorpe The International Time Capsule Society ad Atlanta U.S.A. 

Al fine di raccogliere fondi per portare questo progetto ad altri bambini in altre scuole italiane è stato attivato un crowdfunding su www.eppela.com. Per ogni donazione sono previste delle ricompense.

Saper ascoltare e valorizzare il mondo giovanile è un dovere primario di tutta la società.




24/03/2016
L’arte del fare GIANNINO CASTIGLIONI Scultore

Giovedì 31 marzo alle ore 18 alla Biblioteca Ambrosiana (Piazza Pio XI, 2 Sala delle Accademie) verrà presentato il volume  L’arte del fare GIANNINO CASTIGLIONI Scultore (Skira editore). Il bellissimo libro è il risultato delle recenti ricerche rivolte alla rivalutazione dell’attività di Giannino Castiglioni (Milano 1884 – Lierna 1971), uno tra i più importanti pittori, incisori e scultori del Novecento italiano. L’opera, curata da Eugenio Guglielmi, attraverso testimonianze dirette e studi monografici di giovani e accreditati studiosi, nonché inediti materiali d’archivio, mette in evidenza la formazione dell’artista e il suo rapporto con l’ambiente milanese nel clima culturale a cavallo tra il tardo simbolismo ottocentesco e il nascente Liberty. Particolare attenzione viene data alla formazione di Castiglioni presso l’Accademia di Brera e alle opere che lo resero celebre, tra cui ricordiamo quelle presenti al Cimitero Monumentale, i Sacrari dedicati ai Caduti della Prima Guerra Mondiale e la Porta del Duomo di Milano. Un capitolo riguarda, infine, lo studio dei 350 gessi conservati presso il Comune di Lierna, dono degli eredi, nell’ottica della creazione di una Gipsoteca da inserire nei percorsi provinciali e regionali lombardi.

INGRESSO LIBERO 


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24/03/2016
PASQUA E PASQUETTA APERTI TUTTI I GRANDI MUSEI STATALI

In occasione delle prossime festività di Pasqua e del Lunedì dell’Angelo i musei, le aree archeologiche e i luoghi della cultura statali resteranno aperti. Domenica 27 e lunedì 28 marzo i grandi musei statali rimarranno aperti, rispettando il normale piano tariffario. Una apertura straordinaria in tutta Italia dagli Scavi di Pompei alla Pinacoteca Brera, dal Castello di Miramare di Trieste al Museo Nazionale Archeologico di Napoli, da Paestum agli Uffizi, dal Foro Romano e Palatino al Cenacolo Vinciano, dalla Reggia di Caserta al Colosseo, dalla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma ai Musei Reali di Torino, dal Museo d’Arte Orientale di Venezia a Castel Sant’Angelo, dal Museo Egizio al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria.

Per informazioni:
http://www.beniculturali.it/
mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti
/MibacUnif/
Comunicati/visualizza_
asset.html_1151786380.html

 




27/02/2016
La Misericordia Spettacolo teatrale di e con Lucilla Giagnoni

Lunedì 29 Febbraio 2016, h 21:00
Chiesa di San Graziano
Arona (NO), Italia

"Beati i Misericordiosi, perché riceveranno Misericordia"

A partire dalla Misericordia come virtù della reciprocità, l'interpretazione di Lucilla Gianoni ci guiderà in un percorso antropologico e spirituale: la beatitudine evangelica della Misericordia si erge a virtù morale e condivisa del vivere civile. La rappresentazione dell'incontro tra fede e dimensione civica nella vita di comunità prende forma sullo sfondo del Duomo e del Palazzo della Ragione, luogo d'intreccio tra l'autorità religiosa e il potere civile, per celebrare un valore condiviso, quello di Misericordia appunto, le cui radici affondano nella storia antica. A cura di: Vicariato dell’Aronese; Parrocchia di Arona; Associazione Partecipazione e Solidarietà.




25/02/2016
L’ENERGIA DEL FEMMINILE NEL BUDDHISMO TIBETANO

SABATO 5 MARZO 2016 - dalle ore 11 alle ore 13 e dalle ore 14 alle ore 16
CELSO - ISTITUTO DI STUDI ORIENTALI
Dipartimento Studi Asiatici
Archivio Arti Contemporanee
BSA Biblioteca di Studi Asiatici
Galleria Mazzini 7 – 16121 Genova - Italy

Il seminario "L'Energia del Femminile nel Buddhismo Tibetano" che si terrà sabato 5 marzo nelle fasce orarie 11-13 e 14-16, verterà sui temi Le forme del divino femminile, Le divinità ‘naturate di spazio’, Archetipo femminile e materno e Donne di illuminazione, e sarà a cura della Prof.ssa Carla Gianotti, tibetologa, docente di lingua e cultura tibetana, autrice di numerose pubblicazioni tra cui: "Donne di illuminazione: Dakini e demonesse”, Madri divine e maestre di Dharma" (Ubaldini),  “La vita di Milarepa” (UTET), prima versione italiana della vita di Milarepa condotta sull’originale tibetano,  “Il Grande Sigillo: la conoscenza originaria di Maha Mudra” (Mimesis), “Cenerentola nel paese delle nevi” (Utet). Il Seminario e' ad iscrizione.

Per informazioni:
tel [+39] 010586556
info@celso.org
www.celso.org




25/02/2016
Symbols

4 – 26 marzo 2016
Genova Palazzo Ducale - Fondazione per la cultura
Sala Dogana
Piazza Matteotti, 9
Genova, Italia

Inaugurazione venerdì 4 marzo, ore 18
Orario: mar-dom ore 15-20 Ingresso libero

16 incisori hanno riletto in chiave contemporanea i simboli dei monumenti funerari presenti in alcuni cimiteri monumentali europei e 10 tra musicisti e danzatori ne hanno tratto coreografie. Dopo le residenze d’artista di Avilés e di Dundee realizzate all’interno del progetto Symbols, una mostra evocativa nata dalle suggestioni dell’arte funeraria.

Per informazioni:
palazzoducale@palazzoducale.
genova.it
www.palazzoducale.genova.it



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14/11/2010
L’arte sacra del nostro tempo - Giuseppe Betori

Pubblichiamo il testo integrale della lectio magistralis tenuta dall’Arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori, sabato 13 novembre 2010, nel Battistero di San Giovanni Battista, all’interno delle manifestazioni di Florens 2010 - Settimana Internazionale dei Beni Culturali e Ambientali

I. «Oro, argento e bronzo, tessuti di porpora viola e rossa, di scarlatto, di bisso e di pelo di capra, pelle di montone tinta di rosso, pelle di tasso e legno di acacia, olio per l’illuminazione, balsami per l’olio dell’unzione e per l’incenso aromatico, pietre di ònice e pietre da incastonare nell’efod e nel pettorale» (Es 24,3b-7). Non è l’inventario della bottega di un ricco mercante della Firenze del Quattrocento, ma un primo, e ancora parziale, elenco di quanto Dio ordina a Mosè che gli Israeliti reperiscano per la costruzione della sua Dimora nel deserto. È un elenco che, per dovizia, varietà e pregiatezza di materiali, non soffre il paragone con le scene fastose della Cavalcata dei Magi affrescate da Benozzo Gozzoli nella Cappella del Palazzo Medici Riccardi, ovvero con lo splendore severo della commistione di marmi e pietre dure della Cappella dei Principi a San Lorenzo o lo sfarzo del ciborio di Santo Spirito.

Nell’esodo dall’Egitto verso la Terra promessa, giunti gli Israeliti alla santa montagna del Sinai, «il Signore disse a Mosè: “Sali verso di me sul monte e rimani lassù: io ti darò le tavole di pietra, la legge e i comandamenti che io ho scritto per istruirli”. [...] Mosè salì dunque sul monte e la nube coprì il monte. La gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube. La gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna. Mosè entrò dunque in mezzo alla nube e salì sul monte. Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti» (Es 24,12.16-18).

In tale contesto di profonda sacralità, Dio si rivolge a Mosè con queste parole: «Ordina agli Israeliti che raccolgano per me un contributo. Lo raccoglierete da chiunque sia generoso di cuore. Ed ecco che cosa raccoglierete da loro come contributo: oro, argento e bronzo, tessuti di porpora viola e rossa, di scarlatto, di bisso e di pelo di capra, pelle di montone tinta di rosso, pelle di tasso e legno di acacia, olio per l’illuminazione, balsami per l’olio dell’unzione e per l’incenso aromatico, pietre di ònice e pietre da incastonare nell’efod e nel pettorale. Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro. Eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò, secondo il modello della Dimora e il modello di tutti i suoi arredi» (Es 25,2-9). Ha inizio così il progetto di realizzazione del capolavoro artistico ed architettonico della fede ebraica, il Tempio, di cui la Dimora nel deserto costituisce l’anticipazione mobile.

Come sia da costruire la Dimora, occupa pagine e pagine del libro dell’Esodo, dal capitolo 25 fino al capitolo 31, con qualche interpolazione di altro materiale sempre legato al culto. È una descrizione che, con tutta evidenza, proietta indietro, nel tempo del deserto, caratteri e forme del Tempio eretto dal re Salomone, tanto che la narrazione biblica, giunta al punto della costruzione salomonica, al capitolo sesto del primo libro dei Re, non si dilunga troppo e dedica poche righe a narrare l’immane impresa di cui il re si fece carico, edificando sul Sion un santuario da annoverare tra le meraviglie dell’antichità, risplendente di pietre luminose, di legnami pregiati, di metalli preziosi, di stoffe sfarzose, che suo padre David aveva preparato e ammassato in abbondanza per lui. L’autore sacro del primo libro dei Re se la cava con un breve capitolo, proprio perché il lettore ha come riferimento quanto già detto nelle pagine dell’Esodo che stiamo ripercorrendo.

Torno ad attirare l’attenzione sull’elenco di materiali che apre l’intera narrazione della costruzione della Dimora-Tempio; un elenco ancora provvisorio e limitato, rispetto a quanto poi apparirà nel seguito della descrizione, ma che già si distingue per varietà e ricchezza. L’intera operazione artistico-architettonica prende dunque le mosse non da una dichiarazione di principio che espliciti le condizioni per cui l’opera che viene avviata potrà dirsi ed essere sacra. Non ci sono presupposti ideologici o teologici a fare da discriminante tra l’azione umana del costruire spazi e oggetti in cui risplende la bellezza e un’azione sacrale da essa distinta. Che cosa fa di uno spazio e di un oggetto un luogo e uno strumento sacro? La risposta che la nostra narrazione offre appare, a prima vista, ma solo a prima vista, deludente: la materia, una materia adatta a farsi modellare dall’uomo, una materia che oggi diremmo nobile, proprio perché in essa si riflette il dialogo tra Dio e l’umanità.

Alla nobiltà della materia, nella descrizione della Dimora-Tempio, si aggiunge il tratto della ricchezza: «oro, argento e bronzo, tessuti di porpora viola e rossa, di scarlatto, di bisso…». Ma non sempre nella Bibbia è così: oltre al valore economico, la nobiltà del materiale può essere legata anche ad altri fattori. Nella costruzione del Tempio, ad esempio, le pietre non erano rifinite: non dovevano essere violate dal ferro, ma offerte alla costruzione così come erano uscite dalla cava. Vergini intatte, le pietre del Tempio salomonico sembrano creature da sempre destinate al compito di contenere la presenza dell’Altissimo: andavano soltanto estratte dalla montagna che da sempre le aveva custodite, come in uno scrigno.

La nobiltà del materiale può derivare anche dal fatto che lo si riconosce come testimone della trascendenza, del sacro. Così è per la pietra che il patriarca Giacobbe pone a memoria della rivelazione divina che ha ricevuto. Dopo il sogno notturno della scala che univa terra e cielo, su cui angeli salivano e scendevano, «la mattina Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità. E chiamò quel luogo Betel». Poi Giacobbe disse: «Questa pietra, che io ho eretto come stele, sarà una casa di Dio» (Gen 28,18-19a.22a). In maniera analoga, all’ingresso nella Terra Promessa, per ricordo del luogo in cui il popolo eletto aveva ribadito la sua adesione all’alleanza con il Signore, Giosuè «prese una grande pietra e la rizzò là, sotto la quercia che era nel santuario del Signore», dicendo a tutto il popolo: «Ecco: questa pietra sarà una testimonianza per noi, perché essa ha udito tutte le parole che il Signore ci ha detto; essa servirà quindi da testimonianza per voi, perché non rinneghiate il vostro Dio» (Gs 24,26b-27).

Ciò che fa nobile la materia di cui ci si serve per realizzare l’opera sacra è il fatto che l’uomo le riconosce la capacità di dire la grandezza del Dio che ha incontrato: a ciò può piegarsi la preziosità di un materiale illustre, ma anche la nuda fisicità di un materiale comune, elevato però dal rapporto che esso ha avuto con la trascendenza. I cieli dipinti con il blu dei lapislazzuli come pure i fondi oro delle icone o dei mosaici che risplendono sopra di noi in questo Battistero esprimono certamente una dimensione sacrale, ma altrettanto si potrebbe dire per un sacco di Burri, su cui si può scorgere traccia ancora del sudore della fatica dell’uomo nel lavoro, con il quale egli nobilita il mondo trasformandolo. Maurizio Calvesi, proprio a riguardo di Burri, si esprimeva in termini affini, parlando di «un processo di risalita dalla muta, squallida presenza della materia e degli oggetti al livello dell’arte come rappresentazione drammatica e regno della bellezza» (M. Calvesi, Alberto Burri, Milano 1971). L’oro che risplende sulle mirabili forme plastiche della porta del Paradiso di questo Battistero esprime la convinzione che Lorenzo Ghiberti e i suoi committenti avevano della sacralità del luogo racchiuso tra le tre porte bronzee e della natura trascendente delle azioni che vi si compiono per coloro che ne superano la soglia. Ma anche le forme appena sbozzate dei materiali quotidiani dicono un messaggio di rivelazione della sacralità che la condizione umana e il cosmo tutto hanno assunto in forza dell’incarnazione del Verbo, che ha accolto la forma umana in un processo di abbassamento, necessario preludio della successiva rigenerazione: «Cristo Gesù […], pur essendo nella condizione di Dio […], svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini [...] umiliò se stesso […]. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome» (Fil 2,5-6a.7a.8a.9). Proprio la centralità che, nella fede cristiana, hanno il mistero dell’incarnazione e quello della redenzione, fa sì che non ci sia materia che non possa accogliere il divino e che non possa essere risanata dalla sua miseria e perfino dalla sua abiezione.

Uno dei più noti teologi del Novecento, Karl Rahner, spiega la “capacità del divino” che sta nelle cose materiali affermando che «la profondità naturale della realtà simbolica […] di tutte le cose, è stata infinitamente dilatata in senso ontologico-reale, per il fatto che è divenuta determinazione del Logos stesso o del suo ambiente. Ogni realtà scaturita da Dio, quando è autentica e intatta e non è degradata a semplice mezzo utilitaristico umano, non dice solo se stessa, ma riecheggia sempre […] l’insieme della realtà. Ma se questa singola realtà, nel render presente il tutto, parla anche di Dio […], questa trascendenza acquista una radicalità ancor maggiore (anche se comprensibile soltanto per mezzo della fede) per il fatto che ora in Cristo queste realtà non ci indirizzano più a Dio solo come a causa, ma a quel Dio al quale esse appartengono come sua determinazione sostanziale o come suo ambiente. Il Verbo incarnato tutto fa sussistere in sé (Col 1,17) e perciò tutto, anche nella sua simbolicità, ha una profondità imperscrutabile, che soltanto la fede può scandagliare» (K. Rahner, “Sulla teologia del simbolo”, in Saggi sui sacramenti e sull’escatologia, Roma 1965, pp. 84-85). Non è solo il Padre invisibile a essere diventato visibile attraverso il volto di Gesù: anche la nostra immagine rivela e rimanda a una dimensione spirituale, che non può essere ridotta alla semplice consistenza materiale e tuttavia fa parte a pieno titolo della realtà.

Con parole diverse ma nella stessa linea si esprime un altro eminente teologo del nostro tempo, Joseph Ratzinger, che così, in un suo saggio del 2000, formula il primo dei criteri di un’arte sacra ordinata alla liturgia: «La totale assenza di immagini non è conciliabile con la fede nell’incarnazione di Dio. Nel suo agire storico Dio è entrato nel nostro mondo sensibile perché esso divenisse trasparente in ordine a Lui. Le immagini della bellezza, nelle quali si rende visibile il mistero del Dio invisibile, appartengono al culto cristiano» (J. Ratzinger, “Lo spirito della liturgia”, in Teologia della liturgia, Opera Omnia 11, Città del Vaticano 2010, p. 129).

Tutto in tal senso può assumere il carattere della nobiltà, purché attraversato da un’esperienza di redenzione. In quest’ultima annotazione ritengo si possa cogliere il dramma di quell’arte contemporanea che si nega al traguardo della bellezza proprio perché fa dell’abiezione umana e cosmica non un terreno della misericordia e del riscatto, ma un destino senza vie di uscita. E, soprattutto, ritiene che l’esaltazione dell’abiezione possa essere una strada breve per stupire; ma non si può stupire a costo della verità. Nell’ottica cristiana non è il mondano che viene rifiutato ma il peccato, e anche questo non viene espulso dall’esperienza bensì accolto come spazio di esercizio del perdono e della salvezza. Come afferma Giovanni Paolo II nella sua Lettera agli artisti del 1999, «persino quando scruta le profondità più oscure dell’anima, o gli aspetti più sconvolgenti del male, l’artista si fa in qualche modo voce dell’universale attesa di redenzione» (n. 10). Viene istintivamente alla mente l’immagine de Il ritorno del figliol prodigo di Rembrandt, ma lo stesso possiamo dire per i volti dei popolani di Caravaggio assurti a dire la fede e la santità. Il non-sacro, cioè, non spaventa, e per chi sa che gli idoli non esistono, perfino le carni offerte agli idoli possono diventare un pasto comune, come insegna l’apostolo Paolo (cf. 1Cor 8-10). È il medesimo principio che ha permesso la ripresa dei miti e delle figure della classicità quali strumenti espressivi della rivelazione cristiana nell’arte rinascimentale: spogliati della loro falsa identità sacra i personaggi del mito assurgono a valori perenni e non temono di diventare strumento di loro espressione. E perché oggi dovremmo temere di assumere miti e figure della contemporaneità per dire la verità dell’uomo? Purché, come ricorda ancora san Paolo, «sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio» (1Cor 10,31), cioè per manifestare lui e il suo amore per l’umanità. È ciò che fecero, secondo l’antica leggenda, gli antichi fiorentini, quando trasformarono lo spazio sacro a Marte in questo Battistero di San Giovanni, come naturale rigenerazione di un ambiente anch’esso attraversato, come gli uomini e le donne, dall’acqua del battesimo. Ce lo ricorda la bella tela di Bernardino Poccetti, che si è voluta anzitutto qui, come doveroso passaggio verso la sua ricollocazione nella nostra Cattedrale, per cui verosimilmente era stata concepita. L’arte non dà soltanto nobiltà di bellezza alla materia, ma è anche assunzione e trasfigurazione della storia, a proclamarne, specie per la storia sacra, la perenne attualità. Così è per questo battesimo del popolo fiorentino da parte di san Zanobi, il pastor ecclesiae e defensor urbis, la cui azione di ridefinizione della città nella fede è fatto che coinvolge chiunque ne contempla il gesto e chiama a una eredità coerente.

II.

I materiali sono la base, ma ovviamente da soli non fanno un’opera d’arte. Ne è consapevole anche la narrazione biblica, che all’elenco dei materiali fa seguire la descrizione di come essi assumano le forme che danno vita ai vari elementi della Dimora. Qui mi limito a richiamare alcuni tratti della costruzione dell’arca e poi del pettorale dell’efod.

«Faranno dunque un’arca di legno di acacia: avrà due cubiti e mezzo di lunghezza, un cubito e mezzo di larghezza, un cubito e mezzo di altezza. La rivestirai d’oro puro: dentro e fuori la rivestirai e le farai intorno un bordo d’oro. Fonderai per essa quattro anelli d’oro e li fisserai ai suoi quattro piedi: due anelli su di un lato e due anelli sull’altro. Farai stanghe di legno di acacia e le rivestirai d’oro. Introdurrai le stanghe negli anelli sui due lati dell’arca per trasportare con esse l’arca» (Es 25,10-14). Il fascino del manufatto è sì legato allo splendore dell’oro, ma anche alla proporzione delle forme, la cui semplicità sembra voler fare da contrappeso alla preziosità della materia. È legato anche alla funzione pratica per cui l’opera era concepita, con le stanghe introdotte negli anelli per rendere portatile l’oggetto sacro.

Nel racconto biblico non meno significativo è il coperchio dell’arca, il propiziatorio: «Farai il propiziatorio, d’oro puro; avrà due cubiti e mezzo di lunghezza e un cubito e mezzo di larghezza. Farai due cherubini d’oro: li farai lavorati a martello sulle due estremità del propiziatorio. […] I cherubini avranno le due ali spiegate verso l’alto, proteggendo con le ali il propiziatorio; saranno rivolti l’uno verso l’altro e le facce dei cherubini saranno rivolte verso il propiziatorio. Porrai il propiziatorio sulla parte superiore dell’arca e collocherai nell’arca la Testimonianza che io ti darò. Io ti darò convegno in quel luogo: parlerò con te da sopra il propiziatorio, in mezzo ai due cherubini che saranno sull’arca della Testimonianza, dandoti i miei ordini riguardo agli Israeliti» (Es 25,17-18.20-22). Sotto lo sguardo vigile dei misteriosi cherubini riposa la preziosa custodia delle tavole della Legge, la Testimonianza, chiusa sotto il propiziatorio, che è però anche il trono da cui Dio manifesta la sua volontà agli Israeliti. Pregio del materiale e purezza delle linee convergono nel dare figura alla trascendenza che incontra l’uomo.

Come la materia prende forma con varietà e bellezza per una funzione sacrale lo mostra anche la descrizione della realizzazione del pettorale dell’efod, il memoriale delle dodici tribù, stoffa preziosa, posta sul petto e sulle spalle del sommo sacerdote, sul davanti a forma di borsa per contenere le pietre sacre della divinazione: «Farai il pettorale del giudizio, artisticamente lavorato, di fattura uguale a quella dell’efod: con oro, porpora viola, porpora rossa, scarlatto e bisso ritorto. Sarà quadrato, doppio; avrà una spanna di lunghezza e una spanna di larghezza. Lo coprirai con un’incastonatura di pietre preziose, disposte in quattro file. Prima fila: una cornalina, un topazio e uno smeraldo; seconda fila: una turchese, uno zaffìro e un berillo; terza fila: un giacinto, un’àgata e un’ametista; quarta fila: un crisòlito, un’ònice e un diaspro. Esse saranno inserite nell’oro mediante i loro castoni. Le pietre corrisponderanno ai nomi dei figli d’Israele: dodici, secondo i loro nomi, e saranno incise come sigilli, ciascuna con il nome corrispondente, secondo le dodici tribù. […] Così Aronne porterà i nomi dei figli d’Israele sul pettorale del giudizio, sopra il suo cuore, quando entrerà nel Santo, come memoriale davanti al Signore, per sempre. Unirai al pettorale del giudizio gli urìm e i tummìm. Saranno così sopra il cuore di Aronne quando entrerà alla presenza del Signore: Aronne porterà il giudizio degli Israeliti sopra il suo cuore alla presenza del Signore, per sempre» (Es 28,15-21.29-30).

A collegare tra loro la nobiltà della materia e lo splendore della forma è posta ovviamente l’abilità manuale dell’uomo e la sua capacità ideativa. Nella nostra narrazione questo è così attestato: «Il Signore parlò a Mosè e gli disse: “Vedi, ho chiamato per nome Besalèl, figlio di Urì, figlio di Cur, della tribù di Giuda. L’ho riempito dello spirito di Dio, perché abbia saggezza, intelligenza e scienza in ogni genere di lavoro, per ideare progetti da realizzare in oro, argento e bronzo, per intagliare le pietre da incastonare, per scolpire il legno ed eseguire ogni sorta di lavoro. Ed ecco, gli ho dato per compagno Ooliàb, figlio di Achisamàc, della tribù di Dan. Inoltre nel cuore di ogni artista ho infuso saggezza, perché possano eseguire quanto ti ho comandato: la tenda del convegno, l’arca della Testimonianza, il propiziatorio sopra di essa e tutti gli accessori della tenda; la tavola con i suoi accessori, il candelabro puro con i suoi accessori, l’altare dell’incenso e l’altare degli olocausti con tutti i suoi accessori, il bacino con il suo piedistallo; le vesti ornamentali, le vesti sacre del sacerdote Aronne e le vesti dei suoi figli per esercitare il sacerdozio; l’olio dell’unzione e l’incenso aromatico per il santuario. Essi eseguiranno quanto ti ho ordinato”» (Es 31,1-11). Visione e manualità si uniscono nelle qualità artistiche individuate in Besalèl e Ooliàb, ma soprattutto lo spirito artistico è assimilato allo «spirito di Dio», o, meglio, è considerato come una sua espressione e un suo frutto, immettendo quindi la dimensione trascendente alla radice stessa della facoltà artistica. Agli artisti non è chiesto altro che di eseguire ciò che Dio ha ordinato. Così che il sacro non è qualcosa che si aggiunge all’artistico, ma la forma con cui lo spirito artistico si concretizza quando si applica a un orizzonte religioso.

Altrettanto importante è il modo in cui il testo dell’Esodo illustra le forme con cui lo spirito di Dio si esprime nell’artista: «saggezza, intelligenza e scienza in ogni genere di lavoro, per ideare progetti da realizzare». Il momento ideativo viene in evidenza, dopo tanto spazio dato alla materia e alla manualità. È ciò che permette di superare il piano artigianale e attingere quello artistico, nella composizione armonica delle forme, come suggerisce il termine saggezza, ma anche nelle capacità ideative e inventive frutto dell’intelligenza e nella progettualità che mette insieme i dati secondo scienza e conoscenze. Il tutto indirizzato verso la concretezza della realizzazione di un prodotto. Perché lo spessore materico e la capacità plasmatrice non si oppongono alla dimensione ideale, ma ne sono il necessario complemento, che ne impedisce un esito disincarnato, di una teoresi staccata dalla realtà. Ne è testimonianza anche il fatto che il progetto prevede accanto ai due artisti una schiera di collaboratori, senza i quali la complessità della costruzione avrebbe schiacciato ogni pur alto disegno, con un intreccio tra arte e artigianato che sta nelle migliori tradizioni della nostra Firenze, culla non solo di eccelsi artisti ma di altrettanto eccelse botteghe d’arte: «Mosè disse agli Israeliti: “Vedete, il Signore ha chiamato per nome Besalel […]. L’ha riempito dello spirito di Dio, perché egli abbia saggezza intelligenza e scienza in ogni genere di lavoro, per ideare progetti […]. Gli ha messo nel cuore il dono di insegnare, e così anche ha fatto con Ooliàb […]. Mosè chiamò Besalèl, Ooliàb e tutti gli artisti, nel cuore dei quali il Signore aveva messo saggezza, quanti erano portati a prestarsi per l’esecuzione dei lavori» (Es 35,30.31-32.34; 36,2).

III.

Su questo orizzonte ideativo si pone il secondo passaggio in cui l’architettura del Tempio diventa oggetto di specifica trattazione. Lo troviamo nel libro di Ezechiele. Il profeta scrive in un momento storico in cui il Tempio che abbiamo appena descritto non c’è più, essendo stato distrutto, con tutta Gerusalemme, dall’esercito babilonese di Nabucodonosor. Gli edifici del Tempio sono stati rasi al suolo, le sue suppellettili depredate e portate a Babilonia. La Gloria del Signore non ha più il suo luogo di dimora e il popolo ne vive la drammatica assenza.

La prospettiva del suo ritorno, quale orizzonte di salvezza che il profeta è chiamato ad annunciare nell’ultima fase della sua predicazione, è strettamente legata alla ricostruzione del luogo sacro. Il ritorno della Gloria è subordinato alla riedificazione del Tempio. Dal capitolo quaranta al capitolo quarantadue il libro di Ezechiele rivela come ricostruire il nuovo Tempio, secondo una visione di esso che culmina con la rappresentazione del ritorno della Gloria, cui fanno seguito le norme circa il culto da svolgervi, la nuova suddivisione della terra promessa secondo le tribù d’Israele e, infine, il perimetro della riedificata Gerusalemme.

Le pagine che ci interessano – la visione del nuovo Tempio – descrivono il cammino del profeta al seguito di un misterioso personaggio che, con una cordicella e una canna di misura in mano, lo conduce attraverso il fabbricato svelandone le misure. Si tratta di misure di superficie, quasi un percorso su una pianta dell’edificio, che prescinde dalla sua altezza. Per orientarci sarà opportuno ricordare che la misura del cubito corrisponde più o meno a mezzo metro di lunghezza. Tutto è rarefatta geometria, senza riferimento ai materiali e alle forme.

Ascoltiamone un passaggio: «Ed ecco, il tempio era tutto recinto da un muro. La canna per misurare che l’uomo teneva in mano era di sei cubiti, ciascuno di un cubito e un palmo. Egli misurò lo spessore del muro: era una canna, e l’altezza una canna. Poi andò alla porta che guarda a oriente, salì i gradini e misurò la soglia della porta; era una canna di larghezza. Ogni stanza misurava una canna di lunghezza e una di larghezza, da una stanza all’altra vi erano cinque cubiti: anche la soglia della porta dal lato del vestibolo della porta stessa, verso l’interno, era di una canna. Misurò il vestibolo della porta: era di otto cubiti; i pilastri di due cubiti. Il vestibolo della porta era verso l’interno» (Ez 40,5-9).

La nudità formale della descrizione non cambia sostanzialmente neanche quando si passa a proporre la visione del cuore più sacro dell’edificio, il santuario vero e proprio – il luogo chiamato semplicemente “Santo” –; si concede qualcosa a notizie circa il materiale e la decorazione, ma prevalgono ancora i dati geometrici: «La costruzione che era di fronte allo spazio libero sul lato occidentale, aveva settanta cubiti di larghezza; il muro della costruzione era tutt’intorno dello spessore di cinque cubiti, la sua lunghezza di novanta cubiti. Poi misurò il tempio: lunghezza cento cubiti; lo spazio libero, l’edificio e le sue mura, anch’essi cento cubiti. La larghezza della facciata del tempio con lo spazio libero a oriente, cento cubiti. Misurò ancora la larghezza dell’edificio di fronte allo spazio libero nella parte retrostante, con le gallerie di qua e di là: era cento cubiti. L’interno dell’aula, il suo vestibolo, gli stipiti, le finestre a grate e le gallerie attorno a tutti e tre, a cominciare dalla soglia, erano rivestiti di tavole di legno, tutt’intorno, dal pavimento fino alle finestre, che erano velate. Dall’ingresso, dentro e fuori del tempio e su tutte le pareti interne ed esterne erano dipinti cherubini e palme. Fra cherubino e cherubino c’era una palma; ogni cherubino aveva due aspetti: aspetto d’uomo verso una palma e aspetto di leone verso l’altra palma, effigiati intorno a tutto il tempio» (Ez 41,12-19).

L’astrattezza della descrizione rasenta, sul piano letterario, l’aridità. Il messaggio che ne trapela è però di grande impatto: ciò che conta nel Tempio da costruire non è il come della realizzazione, ma il suo rispondere a un canone di equilibrio di misure che dona armonia al tutto. L’arte, l’arte sacra, è sì una materia da plasmare, un’immagine da modellare, ma è soprattutto una misura da cogliere secondo un preciso progetto, un’idea che anticipa ogni concreta realizzazione, lasciandosi poi disporre a varie concretizzazioni. Considerazioni queste, che hanno evidenti assonanze con quanto scriveva Le Corbusier: «L’architettura non ha niente a che fare con gli “stili”. I Luigi XV, XVI, XIV o il Gotico sono per l’architettura come una piuma sulla testa di una donna; talvolta graziosa, ma non sempre e niente di più. L’architettura ha dei compiti più seri; suscettibile di purificazione, essa tocca gli istinti più brutali con la sua oggettività; sollecita le capacità più elevate con la sua stessa astrazione. L’astrazione architettonica ha di particolare e di magnifico che, pur radicandosi nella realtà brutale, la spiritualizza, perché la realtà brutale altro non è che la materializzazione, il simbolo delle idee possibili. La realtà brutale non può essere trasformata in idee che attraverso l’ordine con il quale si progetta» (Le Corbusier, Tre richiami ai Signori Architetti, 1920: tratto da L. Toccafondi, Le forme sorgono. La condizione dell’architettura contemporanea attraverso gli scritti degli architetti, Torino 1975, p. 30). L’arte è forma, secondo principi di armonia, e l’arte sacra chiede che tale forma si allinei a un progetto divino che è misura di tutte le cose, da rispettare nelle loro native, creaturali proporzioni.

Solo così si è certi di superare la soglia del pur degno artigianato, senza peraltro distaccarsi troppo da esso, come ci insegnano i nostri antichi, e come continuano a ricordarci le pagine dell’Esodo su cui ci siamo a lungo soffermati. Ma le esigenze poste dal brano di Ezechiele sono altre, per certi aspetti superiori, e danno ragione anche di quella relatività circa le radici della nobiltà della materia che abbiamo prima evidenziato. Ciò che conta è cogliere la forma ideale delle cose. Sono esigenze che, con un rapido sguardo alla storia dell’arte, non distano troppo dalle istanze che guidano Leon Battista Alberti nella ricerca dei canoni delle discipline artistiche ed architettoniche. La stessa rarefatta atmosfera geometrica pervade i dipinti di Piero della Francesca e, per arrivare a tempi a noi vicini, si ravvisa nelle piazze assolate della pittura metafisica di Giorgio De Chirico.

Pur radicato nella concretezza fisica della materia, il prodotto artistico che emerge dalle pagine bibliche propone un primato della forma ideale, che è poi il motivo della sua significatività e della sua capacità di fare da supporto a un messaggio di verità. Nella forma ideale giace infatti il significato che le immagini potranno comunicare. E l’arte sacra non rifugge quindi neanche dalla rarefazione radicale dell’immagine che per altri versi l’astrattismo o il concettualismo contemporaneo suggeriscono. Come osserva Timothy Verdon, «l’idea di un’arte sacra astratta non deve spaventare il cristiano se Cristo stesso, Verbo umanato, pur nella concretezza del corpo assunto da Maria non esitò a presentarsi in termini lontani da ogni possibilità di figurazione, come “via”, “verità” e “vita” degli uomini. Soprattutto – continua Verdon – nel contesto liturgico, dove l’arte accompagna riti che spingono oltre l’aspetto esterno delle cose, i linguaggi del contemporaneo, tra cui l’astrattismo, sono adatti al mistero vitale celebrato» (T. Verdon, “Verso una teologia dell’arte contemporanea”, in G. Bonanno (a cura di), Novecento Sacro in Sicilia, Palermo 2010, p. 24). Neanche queste sono strade chiuse a un’arte sacra che sappia trarre lezione dalle pianificazioni geometriche di Ezechiele.

IV.

Il nostro percorso biblico dietro le figurazioni del Tempio, e quello che esso può dire a un’arte sacra oggi, non può però fermarsi qui. C’è infatti un terzo capitolo del percorso che va assolutamente indagato. È la ripresa/assenza dell’immagine del Tempio nel cuore della Gerusalemme celeste di cui parlano le pagine finali dell’Apocalisse giovannea.

La Gerusalemme del cielo, la città escatologica non ha più un Tempio. «In essa non vidi alcun tempio» (Ap 21,22a), confessa il veggente. Ma la lettura del testo che precede questa affermazione desacralizzante ci ha mostrato trasferite all’intera città le caratteristiche che la tradizione anticotestamentaria, quella dell’Esodo e quella di Ezechiele insieme, avevano consegnato all’immagine del Tempio. Le misure di una geometria armonica, che questa volta si estende anche all’altezza, e la preziosità dei materiali servono ora a dire forma e materia della città che Dio dona all’umanità redenta come sua abitazione per l’eternità: «L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. Colui che mi parlava aveva come misura una canna d’oro per misurare la città, le sue porte e le sue mura. La città è a forma di quadrato: la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L’angelo misurò la città con la canna: sono dodicimila stadi; la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono uguali. Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall’angelo. Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. I basamenti delle mura della città sono adorni di ogni specie di pietre preziose. Il primo basamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l’undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta era formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente» (Ap 21,10-21).

Lo stadio ultimo di questo percorso artistico e architettonico unisce i due fattori di forma e materia, riprendendo con evidenza i testi dell’Esodo e di Ezechiele e componendone insieme le istanze. La lezione da trarre è fin troppo evidente, nel suo invito a non contrapporre i due principi ma a farli interagire per la compiutezza del prodotto artistico. Potremmo anche dire che trascendenza e immanenza, idea e plasticità si congiungono nell’immagine della città celeste di Giovanni e indicano una chiara direzione anche a un’arte sacra che voglia essere fedele alla teologia cristiana del “Verbo” che si fa “carne” (cfr. Gv 1,14).

Ritengo ancor più interessante per noi il fatto che questi elementi che, peraltro divisi, avevamo incontrato come distintivi del Tempio – cioè dello spazio e della costruzione sacra per eccellenza – ora li ritroviamo a descrivere invece la città che dal cielo Dio dona agli uomini. La dimensione della sacralità spezza i confini ristretti del Tempio e conquista gli spazi della vita ordinaria dell’uomo, come un dono di Dio, che permea di sé l’intero universo redento dal suo Figlio. Possiamo dire che nella forma che l’umanità accoglie da Dio, la città degli uomini è tutta un tempio divino, permeata della sua presenza, resa sacra dalla sua dimora, come nella profezia di Zaccaria in cui si afferma che, alla fine dei tempi, «anche sopra i sonagli dei cavalli si troverà scritto: “Sacro al Signore”, e i recipienti nel tempio del Signore saranno come i vasi per l’aspersione che sono davanti all’altare. Anzi – continua il profeta –, tutti i recipienti di Gerusalemme e di Giuda saranno sacri al Signore degli eserciti» (Zc 14,20-21a). Sono visioni, queste di Zaccaria e dell’Apocalisse, di una compenetrazione dell’umano dal divino tale da trasfigurare la città terrestre, elevandola a prefigurazione della città di Dio – visioni che proprio a Firenze sono state riproposte con particolare forza qualche decennio fa da Giorgio La Pira.

Ecco, in città così immaginate, la perfezione delle misure dice questa natura divina dell’umano redento; come pure l’eccezionale preziosità dei materiali esprime un’altezza che va ben oltre le possibilità dell’uomo e attinge il livello stesso di Dio. Qui si scorge un’ulteriore indicazione preziosa per il rapporto tra arte e sacro. Quando coglie la verità dell’uomo e del mondo ogni espressione artistica tocca la dimensione della sacralità; viceversa un’arte propriamente sacra non separa i contenuti trascendenti da quelli immanenti, ma nel dire Dio dice qualcosa di profondamente umano. Ha affermato il Santo Padre Benedetto XVI nell’incontro con gli artisti dello scorso anno: «L’autentica bellezza schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da sé. Se accettiamo che la bellezza ci tocchi intimamente, ci ferisca, ci apra gli occhi, allora riscopriamo la gioia della visione, della capacità di cogliere il senso profondo del nostro esistere, il Mistero di cui siamo parte e da cui possiamo attingere la pienezza, la felicità, la passione dell’impegno quotidiano. […] L’arte, in tutte le sue espressioni, nel momento in cui si confronta con i grandi interrogativi dell’esistenza, con i temi fondamentali da cui deriva il senso del vivere, può assumere una valenza religiosa e trasformarsi in un percorso di profonda riflessione interiore e di spiritualità» (Benedetto XVI, Discorso all’incontro con gli artisti, Cappella Sistina, Città del Vaticano, 21 novembre 2009).

Non è poi da dimenticare che la descrizione della Gerusalemme celeste nella seconda parte del capitolo 21 dell’Apocalisse, identificata in un tempio pieno di armonia e di splendore, non va disgiunta da un’altra descrizione della medesima città che si incontra nei versetti iniziali del medesimo capitolo: «E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:
“Ecco la tenda di Dio con gli uomini!
Egli abiterà con loro
ed essi saranno suoi popoli

ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.

E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate”» (Ap 21,2-4).

Per l’immagine della Gerusalemme celeste, la tenda della consolazione non è meno importante della città dalle mura di diaspro cristallino. La precarietà della tenda si unisce alla forza sanante le sofferenze umane che in essa prende corpo, come comunione divina che avvolge la miseria umana e la redime portandola a vita nuova, oltre ogni morte, lutto, lamento e affanno. Ritroviamo qui l’incrocio tra la nudità della pietra del deserto e lo splendore dei metalli preziosi che abbiamo visto caratterizzare i luoghi sacri dell’Antico Testamento. Ciò che conta, di nuovo, non è il come dello spazio creato per il sacro, ma la presenza del divino che lo redime. E anche qui tocchiamo un altro punto nevralgico dell’arte sacra: solo l’esperienza dell’incontro con la trascendenza e l’assoluto Trascendente fa la differenza dell’arte sacra, nella varietà dei suoi strumenti espressivi, nobili tutti, ma più o meno preziosi o precari, legati a un principio di armonia, ma più o meno radicati in forme astratte o concrete.

Da ultimo, però non possiamo sfuggire alla ragione per cui il tempio è assente dalla Gerusalemme dell’Apocalisse:
«[Nella città] non vidi alcun tempio:
il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello
sono il suo tempio.
La città non ha bisogno della luce del sole,
né della luce della luna:
la gloria di Dio la illumina
e la sua lampada è l’Agnello» (Ap 21,22-23).

L’Agnello: proprio qui nel Battistero è raffigurato, nella volta che sovrasta l’altare, in un cerchio con la scritta: «Hic Deus est magnus mitis quem denotat agnus [Questo è Dio, grande, mite, significato nell’agnello]». Grande ma anche mite, Dio non risiede più in uno spazio separato dagli uomini, ma è entrato nella loro esistenza, personale e sociale, e lo ha fatto attraverso il suo Figlio, l’Agnello di Dio sacrificato per gli uomini.

La connaturalità di Dio all’uomo, che è il frutto dell’incarnazione e della redenzione, impone di scorgere in ogni fatto umano il volto di Dio e di cercare Dio in ogni volto umano. Qui i confini tra arte e arte sacra si fanno sempre più sottili e rendono ragione del percorso che l’arte occidentale ha compiuto, nella sintesi che ha saputo fare di umano e divino, in una reciprocità che non ha stretti confini. Cosa di più umano e divino della Pietà, o meglio delle Pietà, del nostro Michelangelo? Ma, per toccare tempi a noi vicini, possiamo provare una sensazione simile nel contemplare le storie bibliche di Chagall o i paesaggi e i volti umani di Van Gogh. C’è uno spazio per il sacro, così come lo vuole l’Apocalisse, anche per l’arte del nostro tempo; e c’è uno spazio per il radicamento umano dell’arte sacra del nostro tempo. Per tutti gli artisti ancora oggi è aperta la sfida a far risplendere la luce di Dio nel descrivere la città degli uomini che egli abita, a dire Dio nelle forme congiunte della tenda del deserto e della città d’oro, a offrire un segno dell’uomo su cui si proietta la luce di Dio.

Giuseppe Betori
Arcivescovo Metropolita di Firenze







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ASC DAY 2010


16/06/2010
Incontro - dialogo con l’Artista Tarshito


14/06/2010
FESTIVAL INTERNAZIONALE DI VILLA ADRIANA - LAZIO


07/06/2010
India. I volti del sacro


04/06/2010
Astratto in chiesa: ma chi lo capisce?


07/05/2010
Le Avanguardie dell'Arte Sacra


29/04/2010
LE AVANGUARDIE DELL'ARTE SACRA




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ASC VIDEO

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VideoTop Paolo Simonotti presenta IOTIAMO 2045 Capsula del tempo di Antonio Spanedda



Incontro con William Xerra Accademia di Brera 1a parte



Incontro con William Xerra Accademia di Brera 2a parte



Incontro con William Xerra Accademia di Brera 3a parte



Incontro con William Xerra Accademia di Brera 4a parte



Presentazione mostra Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana



IOTIAMO Contemporary Art Project



ASSISI. JOVANOTTI CANTA “IL CANTICO DELLE CREATURE”



Revealing GOØD



NEOREALEASTER



Fe & Arte 2012 - Sequeri 1



Fe & Arte 2012 - Sequeri 2



Mostra di Artisti Contemporanei insieme per il Fund Raising 'Dona Gioca Colleziona Arte'



IOTIAMO. Una dichiarazione d'amore. Una mostra d'arte contemporanea



No Strangers



Mimmo Paladino, installazione in Piazza Santa Croce, Florens 2012



CONCEPTUAL ART 2012 - WELL DESERVING "Everyday"



Passio 2006-2010



Meet the Artist Jan 2012: Brandenburg Spring Choral Festival



Black Voices - Something Inside So Strong



Makoma - Moto Oyo



The Tree of Life Chapel - Braga, Portugal



Calligraphy : Julien Breton - Kaalam



The Art of Living Sri Sri Ravi Shankar



Terra Rut di Camilla Marinoni



Fuoco Mosè di Camilla Marinoni



Mina - Dalla Terra (Magnificat di Marco Frisina)



Ravi & Anoushka Shankar - Raga Anandi Kalyan



La Sapienza risplende. Madonne d'Abruzzo tra Medioevo e Rinascimento



ASC DAY 2010 Alta Valsesia VC Italia



ST STEPHEN,ST MARTIN-IN-THE FIELDS...



Mondo Vibrante



La DIVINA COMMEDIA



DALAI LAMA - I 18 PRINCIPI FONDAMENTALI - (The Dalai Lama's instruction on Life)



Intervista Don S. Barbaglia, A.B. Del Guercio



INNO AL BEATO GIOVANNI PAOLO II di mons. Marco Frisina



L'armonia della Vita di Terzani



IO TI AMO by Antonio Spanedda



Divine Comedy Divina commedia inferno 1° canto



Uomini di Dio di Xavier Beauvois



Affezione di Mons. Pierangelo Sequeri



Madre Teresa. Una bambina di nome Gonxhe



Eremo outing di Paola Lotti



O Tannenbaum (Oh, Christmas Tree) (Vince Guaraldi)



I am Jesus



Passione secondo Luca: ANTEPRIMA



The White Light Festival



ČIURLIONIS: Un viaggio esoterico 1875 – 1911



Waldemar Januszczak on Raphael



Homage to Muslim Art depicting Muhammad



Dentro l'Ultima Cena: Il tredicesimo testimone



Biennale delle chiese laiche 2010 Design



Vision by Margarethe von Trotta www.zeitgeistfilms.com



KEMO'-VAD, DANZARE NEL VENTO



Le reliquie del Buddha all'Accademia di Brera



Insieme a Don Tonino Bello...



Flare II - A Conversation with Antony Gormley



Jeremy Rifkin, 'La civiltà dell'empatia'



Sacred Music Colloquium (CMAA)



Da pellegrini sui Sacri Monti


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Antonio Spanedda

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Stefano Pizzi

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'Tarshito' Nicola Strippoli

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LA PASSIONE DI SORDEVOLO

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